Le prestazioni discontinue, nel contesto del diritto del lavoro, indicano un’attività lavorativa che non si svolge in modo continuativo e regolare nel tempo, ma viene effettuata a intermittenza, in base alle esigenze del datore di lavoro.
In pratica, il lavoratore non ha un orario di lavoro fisso e predeterminato, ma viene chiamato a svolgere la propria attività solo quando c’è effettiva necessità. Questa modalità di lavoro è tipica del contratto a chiamata (o lavoro intermittente), ma può essere presente anche in altre forme contrattuali, come ad esempio il part-time verticale.
Le prestazioni discontinue si contrappongono alle prestazioni continuative, che invece si svolgono in modo regolare e costante nel tempo, secondo un orario di lavoro definito.
Ecco alcuni esempi di prestazioni discontinue:
- Un cameriere chiamato a lavorare solo nei fine settimana o durante eventi speciali.
- Un addetto alle pulizie chiamato a intervenire solo in caso di necessità.
- Un interprete chiamato a lavorare solo durante fiere o congressi.
- Un operaio agricolo chiamato a lavorare solo durante la stagione della raccolta.
Le prestazioni discontinue possono essere caratterizzate da:
- Irregolarità: Le chiamate al lavoro possono avvenire in giorni e orari diversi, senza una cadenza fissa.
- Imprevedibilità: Il lavoratore non sa in anticipo quando verrà chiamato a lavorare.
- Brevità: Le prestazioni possono avere una durata limitata, anche di poche ore.
È importante sottolineare che, anche se discontinue, le prestazioni lavorative devono comunque essere retribuite e il lavoratore deve godere delle tutele previste dalla legge e dai contratti collettivi.
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