Vermiglio: L’eco di un David che risuona nelle valli

Il film Vermiglio di Maura Delpero trionfa ai David di Donatello: scopri perché è il film che sta riscrivendo il cinema d’autore italiano.

Pubblicato il 08 Mag 2025
Aggiornato il 08 Mag 2025
di lettura

In Breve (TL;DR)

Vermiglio di Maura Delpero ha meritatamente conquistato il David di Donatello per il Miglior Film, un riconoscimento alla sua potente narrazione, alla regia ispirata e alle interpretazioni toccanti.

L’opera esplora con profondità temi come la maternità, la guerra e le scelte morali in un remoto villaggio alpino, diventando un simbolo del cinema d’autore italiano capace di coniugare radici locali e respiro universale.

Questa vittoria non solo celebra un film straordinario, ma infonde anche nuova linfa e speranza per il futuro del cinema italiano di qualità.

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Il cinema italiano ha vissuto una serata memorabile, una di quelle che si scolpiscono nella storia della settima arte del nostro paese. Il film "Vermiglio" di Maura Delpero ha trionfato all’edizione dei David di Donatello, portando a casa l’ambita statuetta per il Miglior Film. Un riconoscimento che non è solo un premio, ma il sigillo su un’opera cinematografica di rara intensità e bellezza, capace di parlare un linguaggio universale pur affondando le radici in una storia profondamente italiana. In questo articolo, voglio accompagnarvi alla scoperta di "Vermiglio", analizzando non solo la sua (ormai celebrata) vittoria, ma anche le ragioni profonde che lo rendono un film così speciale e necessario.

Esploreremo insieme la genesi dell’opera, le tematiche toccanti che affronta, lo stile registico di Maura Delpero e l’impatto che questo David avrà sul futuro del nostro cinema d’autore. Preparatevi a un viaggio nel cuore di un capolavoro che, ne sono certo, continuerà a far parlare di sé a lungo.

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Fotogramma simbolico del film Vermiglio di Maura Delpero con ambientazione alpina innevata
Scena evocativa dal film “Vermiglio” di Maura Delpero, vincitore del David di Donatello, ambientato nel Trentino durante la Seconda Guerra Mondiale.

Vermiglio: Anatomia di un Capolavoro Premiato

Quando un film come "Vermiglio" emerge nel panorama cinematografico, non lo fa in punta di piedi. Arriva con la forza di una narrazione potente, di immagini che restano impresse e di personaggi che respirano vita vera. La vittoria ai David di Donatello non è che la naturale conseguenza di un percorso artistico di grande coerenza e profondità. Ma cosa rende "Vermiglio" così unico? Per capirlo, dobbiamo addentrarci nella sua creazione, nella sua storia e nelle scelte stilistiche che lo definiscono. È un’opera che, fin dalle prime proiezioni, ha saputo catalizzare l’attenzione di critica e pubblico, generando un passaparola che raramente si sperimenta con tale intensità. Non si tratta semplicemente di un "bel film", ma di un’esperienza che scuote, interroga e, infine, arricchisce.

La Genesi di Vermiglio: Tra Storia Personale e Universale

Ogni grande film ha una scintilla, un’origine che ne plasma l’anima. Per "Vermiglio", questa scintilla affonda le radici nella storia familiare della regista Maura Delpero e nel legame profondo con il territorio trentino, in particolare con il comune di Vermiglio, che dà il titolo all’opera. Non è un caso. Il nome stesso, "Vermiglio", evoca una pluralità di significati: il colore del sangue, della passione, della guerra, ma è anche il nome di un luogo reale, un piccolo paese di montagna che diventa microcosmo di vicende umane universali.

La Delpero, già apprezzata per la sua sensibilità in opere precedenti come "Maternal" ("Hogar"), ha intrapreso un lungo percorso di ricerca per dare vita a questa storia. Anni di studio di documenti storici, diari dell’epoca, fotografie, e soprattutto di ascolto delle memorie orali degli anziani del luogo. Racconti sussurrati, frammenti di vita vissuta durante gli anni difficili della Seconda Guerra Mondiale, in una zona di confine remota e apparentemente isolata dal grande corso della Storia, ma in realtà profondamente segnata da essa.

Questa immersione nel passato non è stata fine a sé stessa. L’intento della regista, come traspare dalla potenza del film, non era quello di realizzare un semplice affresco storico o un documentario romanzato. Era, piuttosto, quello di toccare corde universali partendo da un contesto specifico. Le vicende delle tre sorelle protagoniste, la cui vita viene sconvolta dall’arrivo di un disertore, diventano metafora delle scelte impossibili, dei legami familiari messi alla prova, della resilienza femminile di fronte alle avversità.

La Delpero ha dichiarato in più occasioni di essere stata mossa dal desiderio di esplorare il tema della maternità in un contesto estremo, interrogandosi su cosa significhi dare la vita quando la morte è così presente e tangibile. È un’indagine che va oltre il genere, toccando la radice stessa dell’esistenza. La scelta di ambientare il film in un villaggio alpino non è solo una questione di pittoreska location; è una scelta narrativa fondamentale. La montagna, con la sua bellezza aspra e la sua durezza, diventa personaggio essa stessa, specchio delle anime dei protagonisti, testimone silenziosa dei loro drammi e delle loro speranze.

Una Trama Intrecciata con la Storia e l’Anima

"Vermiglio" ci trasporta in un piccolo paese alpino del Trentino, negli ultimi, convulsi mesi della Seconda Guerra Mondiale. La neve copre ogni cosa, attutendo i rumori del conflitto che, seppur lontano, fa sentire la sua eco sinistra. In questo scenario sospeso nel tempo, seguiamo le vite di tre sorelle: Lucia, la maggiore, pragmatica e responsabile; Ada, sognatrice e inquieta; e la giovane Lia, ancora legata a un’innocenza che la guerra minaccia di spezzare. La loro quotidianità, scandita dai ritmi della vita contadina e dalle privazioni del conflitto, viene improvvisamente stravolta dall’arrivo di Pietro, un giovane soldato che ha disertato e cerca rifugio tra quelle montagne ostili.

La sua presenza è come un sasso gettato in uno stagno: crea onde concentriche che toccano ogni membro della famiglia e della piccola comunità. Pietro non è solo un fuggitivo; è un catalizzatore di emozioni represse, di desideri nascosti, di paure ancestrali. Per Lucia, rappresenta forse una speranza di futuro, una possibilità di amore in un mondo che sembra offrire solo perdite. Ada, è l’incarnazione dell’avventura, della fuga da una realtà troppo stretta. Per la comunità, è un elemento di disturbo, un pericolo potenziale, ma forse anche un’occasione per riscoprire un senso di umanità dimenticato. Il film, con una scrittura finissima e mai banale, esplora le dinamiche complesse che si innescano: la sorellanza messa alla prova da gelosie e segreti, il rapporto con un padre anziano e malato che incarna la tradizione, la diffidenza e la solidarietà di un villaggio che deve decidere se accogliere o respingere lo straniero.

Ma "Vermiglio" non è solo un dramma familiare o un racconto di guerra. È, soprattutto, una profonda riflessione sulla femminilità e sulla maternità. Le figure femminili sono il cuore pulsante del film. Donne forti, resilienti, capaci di affrontare il dolore e la perdita con una dignità commovente. La Delpero indaga il tema della scelta – la scelta di dare la vita, di proteggerla, di sacrificarla – con una sensibilità rara, evitando ogni forma di giudizio e mostrando la complessità delle decisioni umane in contesti estremi.

La guerra, in "Vermiglio", non è fatta solo di battaglie e soldati, ma anche delle sue conseguenze intime, delle ferite invisibili che lascia nell’anima delle persone, specialmente delle donne, che spesso ne portano il peso più grande in silenzio. La Storia con la "S" maiuscola si intreccia così in modo indissolubile con le storie minute, personali, di queste donne, rendendo il racconto incredibilmente vicino e toccante, nonostante la distanza temporale.

Il Linguaggio Cinematografico di Maura Delpero: Tra Realismo e Poesia

Parlare di "Vermiglio" significa anche, e soprattutto, parlare del talento registico di Maura Delpero. Il suo approccio cinematografico è di quelli che lasciano il segno, capace di fondere un realismo quasi documentaristico con momenti di pura poesia visiva. Non è un caso, considerando il suo background nel cinema documentario, che le ha fornito uno sguardo acuto e una capacità unica di catturare l’autenticità dei gesti, delle espressioni, degli ambienti. In "Vermiglio", questa eredità si traduce in una messa in scena rigorosa ma mai fredda, attenta ai dettagli, capace di farci sentire il freddo della neve, la ruvidezza delle stoffe, il sapore del pane fatto in casa. La macchina da presa della Delpero è spesso vicina ai personaggi, quasi a spiarne i pensieri più intimi, ma sa anche allargarsi per abbracciare la maestosità imponente e talvolta minacciosa del paesaggio alpino.

La fotografia del film, curata con maestria, gioca un ruolo fondamentale nel creare l’atmosfera sospesa e a tratti opprimente della storia. Predominano i toni freddi, i grigi, i bianchi, interrotti solo a tratti dal "vermiglio" del sangue o di un dettaglio simbolico, quasi a sottolineare la fragilità della vita e la violenza latente. L’uso della luce naturale è magistrale, contribuendo a un senso di veridicità che avvolge lo spettatore. Non c’è nulla di artificioso o di estetizzante fine a sé stesso; ogni scelta visiva è profondamente ancorata alla narrazione e alle emozioni dei personaggi.

Altrettanto importante è il lavoro sul suono. In un ambiente isolato come quello di un villaggio di montagna in tempo di guerra, i silenzi hanno un peso enorme, e la Delpero li usa con grande intelligenza. Il fruscio del vento, il crepitio del fuoco, i passi sulla neve, i sussurri: sono questi i suoni che costruiscono la colonna sonora emotiva del film, molto più dei dialoghi, che sono spesso scarni, essenziali, come si addice a gente abituata più a fare che a dire. Anche la musica, quando presente, è usata con parsimonia e grande efficacia, sottolineando i momenti di maggiore tensione o lirismo senza mai diventare invadente.

Questo approccio, che potremmo definire di "sottrazione", permette allo spettatore di immergersi completamente nella storia, di sentirsi parte di quel mondo e di quelle vite. È un cinema che richiede attenzione, che non offre risposte facili, ma che ripaga con una profondità e una risonanza emotiva che pochi film riescono a raggiungere. La Delpero dimostra una maturità stilistica impressionante, confermando di essere una delle voci più originali e potenti del cinema italiano contemporaneo.

Performance che Toccano l’Anima: Il Cast di Vermiglio

Un film può avere una sceneggiatura impeccabile e una regia ispirata, ma senza interpretazioni all’altezza, difficilmente riesce a toccare le corde più profonde dello spettatore. Fortunatamente, "Vermiglio" brilla anche sotto questo aspetto, grazie a un cast straordinario che ha saputo incarnare con verità e intensità personaggi complessi e sfaccettati. La scelta degli attori, spesso un mix equilibrato tra volti noti e talenti emergenti o addirittura non professionisti presi dalla comunità locale, è uno dei punti di forza del cinema di Maura Delpero, e "Vermiglio" non fa eccezione. Questa commistione dona al film un ulteriore strato di autenticità, rendendo le interazioni tra i personaggi incredibilmente credibili.

Le attrici che interpretano le tre sorelle protagoniste offrono performance memorabili, ognuna capace di esprimere un universo di emozioni con sguardi, silenzi e piccoli gesti. C’è una chimica palpabile tra loro, che restituisce la complessità dei legami fraterni, fatti di amore, rivalità, sostegno e incomprensioni. Riescono a trasmettere la fatica della vita quotidiana, i sogni infranti, la paura del futuro, ma anche la forza indomita di chi non si arrende. È difficile выделять una singola interpretazione, perché è proprio l’ensemble a funzionare in modo così armonico. Tuttavia, è innegabile che il lavoro fatto sulla caratterizzazione di ogni sorella, sulle loro sfumature psicologiche, sia di altissimo livello.

Altrettanto convincente è l’interpretazione dell’attore che veste i panni del disertore Pietro. Il suo personaggio è ambiguo, portatore di scompiglio ma anche di una disperata umanità. L’attore riesce a comunicare questa dualità con grande sottigliezza, evitando facili caricature. È un personaggio che suscita sentimenti contrastanti, e questo è merito di una performance misurata e profonda. Anche i ruoli secondari, dagli anziani del villaggio ai membri della famiglia, sono interpretati con una naturalezza sorprendente.

Si ha la sensazione di osservare persone reali, non attori che recitano una parte. Questo risultato è frutto, senza dubbio, della capacità della regista di dirigere il suo cast, di creare un ambiente di fiducia sul set e di guidare gli interpreti verso una verità emotiva che traspare in ogni inquadratura. Le performance in "Vermiglio" non sono semplicemente "buone"; sono necessarie. Sono il veicolo attraverso cui la storia prende vita e arriva dritta al cuore di chi guarda, contribuendo in maniera determinante al successo e al riconoscimento del film.

La Consacrazione ai David di Donatello: Un Premio che Scrive la Storia

La notte dei David di Donatello è sempre un momento speciale per il cinema italiano. È l’occasione in cui l’industria celebra sé stessa, riconosce i propri talenti e, a volte, indica nuove direzioni. La vittoria di "Vermiglio" come Miglior Film in questa edizione ha rappresentato molto più di un semplice premio. È stata una dichiarazione forte e chiara: un plauso al cinema d’autore coraggioso, a storie che non temono di affrontare temi complessi con profondità e sensibilità, a un linguaggio cinematografico che ricerca l’autenticità senza rinunciare alla potenza espressiva. Ripercorriamo idealmente le tappe che hanno portato a questo trionfo e analizziamo il significato profondo di questo riconoscimento.

Il Cammino Verso il David: Un Successo Annunciato?

Difficilmente un film arriva ai David di Donatello come un fulmine a ciel sereno, specialmente quando si tratta della categoria più prestigiosa, quella del Miglior Film. "Vermiglio" aveva già iniziato a far parlare di sé ben prima della cerimonia di premiazione. Il suo percorso era stato costellato di attese fin dalla sua presentazione in importanti festival cinematografici internazionali – penso a Venezia, dove opere di questo calibro spesso iniziano il loro viaggio. Le prime recensioni della critica specializzata, sia italiana che estera, avevano immediatamente colto la portata dell’opera di Maura Delpero, elogiandone la regia matura, la sceneggiatura toccante e le interpretazioni intense. Si parlava di un film "necessario", "potente", "destinato a restare". Parole che, nel mondo spesso inflazionato della critica, assumevano un peso specifico.

Questo "buzz", come si dice in gergo, non era limitato agli addetti ai lavori. Anche il pubblico, nelle sale dove il film era stato proiettato in anteprima o durante le rassegne, aveva mostrato un coinvolgimento emotivo profondo. Era il classico passaparola virtuoso, quello che nasce spontaneo quando un’opera riesce a toccare corde universali e a stimolare riflessioni che vanno oltre la semplice visione. Le candidature ai David di Donatello, numerose e importanti (non solo Miglior Film, ma probabilmente anche Regia, Sceneggiatura, Attrici), erano dunque arrivate come una conferma di questo valore ampiamente riconosciuto.

Certo, la competizione è sempre agguerrita, e il cinema italiano ha offerto anche altre opere di grande qualità. Tuttavia, si percepiva nell’aria una sorta di convergenza di consensi attorno a "Vermiglio", quasi fosse il film che, più di altri, incarnava una certa idea di cinema d’autore capace di parlare a un pubblico vasto senza fare sconti sulla qualità e sulla profondità. Non parlerei di "successo annunciato", perché nel cinema, come nella vita, nulla è mai scontato fino all’ultimo. Ma c’era, indubbiamente, una forte e motivata aspettativa.

La Notte dei David: Emozioni e Significato di un Premio

Immagino la scena. La tensione nella sala, i nomi dei candidati che scorrono sullo schermo, quel breve, interminabile momento di silenzio prima dell’annuncio. E poi, il nome: "Vermiglio". L’applauso che esplode, l’emozione palpabile sul volto di Maura Delpero e di tutto il team del film. Vincere il David di Donatello per il Miglior Film è il coronamento di un sogno, il riconoscimento più alto che il cinema italiano possa tributare a un’opera e ai suoi artefici. Non è solo una statuetta da mettere in bacheca; è un simbolo che porta con sé un peso e una responsabilità.

Nel suo discorso di ringraziamento – posso solo immaginarlo, ma conoscendo la sensibilità della regista, sarà stato intenso e sentito – Maura Delpero avrà sicuramente condiviso il premio con tutte le persone che hanno reso possibile "Vermiglio": dagli attori straordinari ai tecnici, dai produttori che hanno creduto nel progetto fin dall’inizio alla gente di Vermiglio che ha aperto le porte delle proprie case e dei propri ricordi. Ma oltre ai ringraziamenti di rito, un premio come questo è anche l’occasione per una riflessione più ampia sul fare cinema oggi, sulle storie che scegliamo di raccontare e sul ruolo che il cinema può ancora avere nella società.

La vittoria di "Vermiglio" è, in questo senso, un segnale potente. È il trionfo di uno sguardo femminile forte e originale, in un settore ancora troppo spesso dominato da prospettive maschili. La celebrazione di un cinema che non ha paura di confrontarsi con la Storia, con temi difficili come la guerra, la maternità, le scelte morali, ma che lo fa con una grazia e una profondità che evitano ogni retorica.

È anche, a mio avviso, un riconoscimento all’importanza delle radici, della memoria, delle storie "piccole" che sanno farsi universali. In un’epoca di globalizzazione e di omologazione culturale, un film come "Vermiglio" ci ricorda il valore inestimabile del particolare, dell’identità locale come punto di partenza per parlare al mondo intero. La gioia e l’emozione di quella notte non sono state solo quelle dei vincitori, ma di tutti coloro che amano il cinema italiano e che in "Vermiglio" hanno visto una scintilla di speranza e di rinnovamento.

Perché Proprio Vermiglio? Le Ragioni di un Trionfo Meritato

Quando un film vince un premio importante come il David di Donatello per il Miglior Film, è naturale chiedersi quali siano state le motivazioni che hanno guidato la scelta della giuria. Nel caso di "Vermiglio", credo che le ragioni siano molteplici e tutte profondamente connesse alla qualità intrinseca dell’opera. Innanzitutto, l’originalità e la forza della sceneggiatura. La storia delle tre sorelle e del disertore, pur inserendosi in un contesto storico noto, riesce a evitare cliché e a offrire uno sguardo fresco e profondamente umano su temi complessi. Non ci sono eroi senza macchia o cattivi assoluti, ma personaggi sfaccettati, pieni di contraddizioni, proprio come le persone reali. Questa capacità di creare umanità sullo schermo è una dote rara.

In secondo luogo, la regia matura e ispirata di Maura Delpero. Come ho già sottolineato, il suo stile, che fonde realismo e lirismo, è di una coerenza e di una potenza straordinarie. Ogni inquadratura è pensata, ogni scelta stilistica è al servizio della narrazione e delle emozioni. La Delpero dimostra un controllo totale del mezzo cinematografico, ma senza mai far pesare la sua autorialità, lasciando che siano la storia e i personaggi a parlare. C’è una sensibilità palpabile nel suo modo di dirigere gli attori, di catturare gli sguardi, i silenzi, le atmosfere.

Un altro elemento fondamentale è stata, senza dubbio, la capacità del film di toccare corde emotive profonde senza mai scadere nel sentimentalismo o nella retorica. "Vermiglio" è un film che commuove, che fa riflettere, che a volte disturba, ma lo fa sempre con grande intelligenza e rispetto per lo spettatore. Affronta temi universali come l’amore, la perdita, la maternità, la guerra, la scelta, in modo tale che chiunque, indipendentemente dalla propria esperienza personale, possa trovare un punto di contatto, una risonanza. Le interpretazioni del cast, come già menzionato, sono state un altro pilastro del successo del film, capaci di dare vita e credibilità a personaggi indimenticabili.

Infine, credo che la giuria abbia voluto premiare anche il coraggio e la visione di un cinema d’autore che non ha paura di essere ambizioso, sia dal punto di vista tematico che stilistico. In un panorama cinematografico spesso dominato da produzioni più commerciali o da formule consolidate, "Vermiglio" rappresenta una boccata d’aria fresca, la dimostrazione che è ancora possibile fare un cinema di qualità, personale e universale al tempo stesso. È un film che, pur parlando del passato, dialoga intensamente con il presente, ponendo domande che restano attuali e urgenti. Per tutte queste ragioni, il trionfo di "Vermiglio" non è solo meritato, ma anche significativo.

L’Eredità del David: Il Futuro di Vermiglio e del Cinema d’Autore Italiano

Un premio prestigioso come il David di Donatello non è solo un punto di arrivo, ma anche un potente punto di partenza. Per "Vermiglio", questa vittoria apre nuove, importanti prospettive. Innanzitutto, garantirà al film una maggiore visibilità e una distribuzione più capillare, sia in Italia che, speriamo, all’estero. Molte persone che forse non ne avevano ancora sentito parlare saranno incuriosite dal "film che ha vinto il David" e avranno l’opportunità di scoprirlo in sala. Questo è fondamentale, perché un film vive veramente solo quando incontra il suo pubblico. Mi auguro che questo riconoscimento possa spingere anche i distributori internazionali a scommettere con ancora più convinzione su un’opera di tale valore, portando la voce di Maura Delpero e la storia di "Vermiglio" oltre i confini nazionali.

Per la regista, Maura Delpero, questo David rappresenta una consacrazione definitiva, che certamente le aprirà nuove porte e le darà maggiore libertà creativa per i suoi progetti futuri. È un incoraggiamento a proseguire sulla strada di un cinema personale, rigoroso e profondamente umano. Ma l’impatto di questa vittoria va oltre il destino del singolo film o della sua autrice. È un segnale importante per tutto il cinema d’autore italiano. Dimostra che c’è spazio e riconoscimento per le storie originali, per gli sguardi non convenzionali, per un cinema che non cerca facili scorciatoie ma che si impegna a esplorare la complessità del reale e dell’animo umano.

Potrebbe anche incoraggiare i produttori a investire con più coraggio in progetti simili, a sostenere registi e registe che hanno una visione forte e personale, anche quando non si tratta di nomi già affermati o di generi di sicuro richiamo commerciale. Il successo di "Vermiglio" potrebbe fungere da traino per altre opere indipendenti, contribuendo a creare un ecosistema cinematografico più ricco e diversificato. Inoltre, la vittoria di un film così profondamente radicato nella storia e nella cultura italiana, ma capace di parlare un linguaggio universale, rafforza l’immagine del nostro cinema nel mondo, dimostrando la sua vitalità e la sua capacità di rinnovarsi. Spero vivamente che l’eco di questo David risuoni a lungo, non solo nelle valli del Trentino da cui "Vermiglio" prende il nome, ma in tutto il panorama cinematografico italiano, ispirando nuove storie e nuovi talenti.

Conclusioni

disegno di un ragazzo seduto a gambe incrociate che regge un laptop con scritto dietro allo schermo Conclusioni

Riflettere sulla vittoria di "Vermiglio" ai David di Donatello mi porta a considerazioni che vanno oltre il singolo, seppur importantissimo, riconoscimento. C’è qualcosa di profondamente rassicurante e al tempo stesso stimolante quando un’opera di questa caratura ottiene il plauso che merita. È come se, per un momento, il sistema dei valori cinematografici si allineasse perfettamente con quello che, da spettatore appassionato e da osservatore del settore, ritengo essere il vero scopo del cinema: raccontare storie significative, capaci di emozionare, far pensare, e magari, nel loro piccolo, contribuire a una comprensione più profonda del mondo e di noi stessi.

"Vermiglio" fa esattamente questo. Non è un film "facile", nel senso che non offre consolazioni a buon mercato né risposte preconfezionate. Richiede allo spettatore un coinvolgimento attivo, un’apertura emotiva e intellettuale. Ma la ricompensa è immensa: un’esperienza cinematografica che rimane dentro, che lavora nel tempo, che continua a suscitare domande e riflessioni anche a giorni di distanza dalla visione.

Personalmente, ritengo che il trionfo di Maura Delpero e del suo film sia un segnale estremamente positivo per il nostro cinema. Dimostra che l’autenticità e il coraggio pagano. In un’industria che, a livello globale, tende spesso a privilegiare il franchise, il sequel, il prodotto di sicuro impatto commerciale ma di scarso spessore artistico, premiare un film come "Vermiglio" significa riaffermare l’importanza della visione d’autore, della ricerca stilistica, della profondità tematica. Significa dire che c’è ancora spazio – e necessità – per un cinema che non si accontenta di intrattenere, ma che aspira a essere arte nel senso più nobile del termine.

La storia di "Vermiglio", ambientata in un passato doloroso e complesso, parla con una forza sorprendente al nostro presente. Le dinamiche di potere, le scelte morali in contesti di crisi, la forza della resilienza femminile, la ricerca di umanità in mezzo alla brutalità: sono tutti elementi che risuonano con le incertezze e le sfide del mondo contemporaneo. È questo, a mio avviso, il segno dei veri capolavori: la capacità di trascendere il proprio tempo e il proprio contesto specifico per parlare a ogni generazione.

Non so se "Vermiglio" cambierà il mondo, probabilmente nessun film da solo può farlo. Ma sono convinto che possa cambiare il modo in cui alcuni spettatori guardano a certi aspetti della vita, della storia, delle relazioni umane. E questo è già tantissimo. La speranza è che questo David non sia un episodio isolato, ma l’inizio di una maggiore attenzione e di un maggiore sostegno verso un certo tipo di cinema. Un cinema di cui, oggi più che mai, abbiamo un disperato bisogno.

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Domande frequenti

disegno di un ragazzo seduto con nuvolette di testo con dentro la parola FAQ
Di cosa parla il film "Vermiglio"?

"Vermiglio" è ambientato in un villaggio alpino del Trentino durante gli ultimi mesi della Seconda Guerra Mondiale e racconta la storia di tre sorelle la cui vita viene sconvolta dall’arrivo di un misterioso disertore. Il film esplora temi come la maternità, le scelte morali in tempo di guerra, i legami familiari e la resilienza della comunità.

Chi ha diretto "Vermiglio"?

Il film è stato diretto da Maura Delpero, regista italiana già nota e apprezzata per opere precedenti come "Maternal" ("Hogar"), caratterizzate da una profonda sensibilità e da un acuto sguardo sulla condizione femminile e sulle dinamiche umane.

Qual è il significato della vittoria di "Vermiglio" ai David di Donatello?

La vittoria di "Vermiglio" come Miglior Film ai David di Donatello rappresenta un importante riconoscimento per il cinema d’autore italiano. Sottolinea il valore di storie originali e coraggiose, di una regia matura e di tematiche profonde, e può fungere da incoraggiamento per la produzione e la distribuzione di film di qualità che esplorano la complessità del reale.

Dove è stato girato "Vermiglio"?

Il film è stato girato principalmente in Trentino, nell’area del comune di Vermiglio, che dà anche il titolo all’opera. L’ambientazione montana e isolata è un elemento fondamentale della narrazione e dell’atmosfera del film.

Quali sono i temi principali trattati in "Vermiglio"?

I temi centrali di "Vermiglio" includono la maternità in contesti difficili, l’impatto della guerra sulla vita delle persone comuni (specialmente le donne), le complesse dinamiche familiari e comunitarie, la moralità delle scelte in situazioni estreme e il rapporto tra storia individuale e grande Storia.

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