Brexit e dazi: costi e conseguenze per imprese e consumatori

Scopri l'impatto della Brexit sui dazi tra Regno Unito e UE. Un'analisi completa su come i nuovi costi e controlli doganali influenzano imprese e consumatori.

In Breve (TL;DR)

A seguito della Brexit, la reintroduzione dei dazi doganali tra Regno Unito e Unione Europea ha comportato un inevitabile aumento dei costi per imprese e consumatori.

L’introduzione di dazi e controlli doganali ha comportato un aumento dei costi operativi per le aziende e un conseguente rincaro dei prezzi per i consumatori finali.

L’analisi esplora come questa nuova realtà doganale si traduca in maggiori oneri per le aziende e in un conseguente aumento dei prezzi per i consumatori.

L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, nota come Brexit, ha segnato una svolta storica con profonde ripercussioni economiche e commerciali. Dal 1° gennaio 2021, con la fine del periodo di transizione, la libera circolazione delle merci tra le due sponde della Manica è terminata, ripristinando frontiere doganali e introducendo nuove complessità burocratiche. Sebbene l’Accordo sugli Scambi e la Cooperazione (TCA) abbia evitato lo scenario peggiore di un’uscita senza intesa, garantendo zero dazi e zero quote su molte merci, l’impatto delle nuove barriere non tariffarie si è rivelato significativo. Questo cambiamento ha ridefinito le dinamiche del mercato europeo, influenzando imprese e consumatori, in particolare in un paese a forte vocazione esportatrice come l’Italia.

L’introduzione di controlli doganali, nuove procedure e certificazioni ha generato costi aggiuntivi e ritardi. Le aziende, soprattutto le piccole e medie imprese, si sono trovate a dover navigare in un labirinto di nuove normative, dalla necessità di ottenere un codice EORI alla gestione di complesse dichiarazioni doganali. Per i consumatori, queste nuove frizioni si sono tradotte in un aumento dei prezzi di alcuni prodotti importati dal Regno Unito e in potenziali ritardi nelle consegne. Questo articolo analizza le conseguenze della Brexit sul commercio tra UE e UK, con un focus specifico sull’Italia, esplorando come tradizione e innovazione del Made in Italy affrontano questa nuova sfida.

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Bandiere del regno unito e dell'unione europea affiancate e separate da una barriera doganale che simboleggia i dazi.
La Brexit ha reintrodotto barriere commerciali e dazi tra Regno Unito e Unione Europea. Analizziamo le implicazioni economiche per imprese e consumatori.

Il nuovo confine doganale: cosa è cambiato

Con la fine della libera circolazione, gli scambi commerciali tra Unione Europea e Regno Unito sono passati da transazioni intracomunitarie a operazioni di import-export. Questo significa che ogni spedizione deve ora superare una frontiera doganale, con l’obbligo di presentare dichiarazioni e documenti specifici. L’Accordo commerciale UE-UK (TCA) ha eliminato i dazi su molti prodotti, a condizione che rispettino le “regole di origine”. In pratica, per beneficiare dell’esenzione, un bene deve essere stato sufficientemente lavorato o prodotto nel Regno Unito o nell’UE. Questa clausola, pensata per proteggere i mercati interni, ha introdotto una notevole complessità per le aziende con catene di approvvigionamento globali.

Oltre alle regole di origine, sono emerse numerose barriere non tariffarie. Queste includono controlli sanitari e fitosanitari (SPS) per prodotti di origine animale e vegetale, nuove etichettature come il marchio UKCA (che sostituirà il marchio CE), e procedure burocratiche che allungano i tempi di sdoganamento. Uno studio della London School of Economics ha evidenziato che proprio queste barriere, più dei dazi, hanno causato un aumento dei prezzi per i consumatori britannici, stimato in circa il 6% sui prodotti alimentari nei primi due anni post-Brexit. Le imprese italiane hanno dovuto adeguarsi rapidamente, investendo in formazione e consulenza per gestire le nuove procedure doganali ed evitare blocchi della merce.

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L’impatto sull’export italiano e il Made in Italy

Nonostante le previsioni pessimistiche, l’export del Made in Italy verso il Regno Unito ha mostrato una notevole resilienza. Il settore agroalimentare, in particolare, si è confermato la prima voce delle esportazioni italiane verso il mercato britannico, raggiungendo i 4,53 miliardi di euro nel 2023, con una crescita del 35% rispetto al 2017. Questo risultato è stato trainato soprattutto dai prodotti a Denominazione di Origine Protetta (DOP) e Indicazione Geografica Protetta (IGP), come formaggi, prodotti a base di carne e aceti balsamici, che continuano a essere molto apprezzati dai consumatori britannici. Il Regno Unito rappresenta il quarto mercato di destinazione per il cibo DOP e IGP italiano.

Tuttavia, il successo nasconde delle sfide. Il 75% delle aziende italiane del settore DOP/IGP ha segnalato un aumento dei costi e dei tempi legati alla burocrazia. Le nuove procedure doganali e i controlli alle frontiere, che il governo britannico ha introdotto gradualmente, rappresentano un onere significativo. Ad esempio, dal 30 aprile 2024 sono stati introdotti controlli fisici su diverse categorie di prodotti a medio rischio. In questo scenario, la forza del Made in Italy risiede nella sua capacità di unire tradizione e innovazione. La qualità, la sicurezza e la tracciabilità dei prodotti italiani sono diventati driver di valore ancora più importanti in un mercato che, dopo la Brexit, richiede maggiori garanzie.

Il settore agroalimentare: tra tradizione e nuove regole

Il settore agroalimentare italiano, un pilastro della cultura mediterranea, ha affrontato la Brexit con una strategia basata sulla qualità. Prodotti come il Prosecco, il Parmigiano Reggiano e i derivati del pomodoro continuano a dominare le tavole britanniche. La resilienza di questo comparto dimostra come la tradizione e l’autenticità rappresentino un vantaggio competitivo solido. Tuttavia, le nuove normative sanitarie e fitosanitarie (SPS) introdotte dal Regno Unito hanno aggiunto un livello di complessità. Le aziende esportatrici devono ora fornire certificati sanitari per molti prodotti, aumentando i costi e il rischio di ritardi, specialmente per le merci deperibili.

L’innovazione gioca un ruolo cruciale per superare questi ostacoli. Molte imprese hanno investito in tecnologie per migliorare la tracciabilità e digitalizzare la documentazione doganale. L’adeguamento ai nuovi standard non è solo un obbligo, ma un’opportunità per rafforzare la percezione di affidabilità del prodotto italiano. Le aziende che riescono a integrare l’innovazione nei processi produttivi e logistici, senza sacrificare l’anima artigianale del Made in Italy, sono quelle che prosperano nel nuovo contesto post-Brexit.

Moda e altri settori: l’innovazione come chiave di volta

Anche settori come la moda, i macchinari e i mezzi di trasporto, altre colonne portanti dell’export italiano, hanno risentito della Brexit. Le catene del valore, un tempo perfettamente integrate, sono state interrotte da nuove procedure e controlli. Per l’industria della moda, ad esempio, la gestione dei resi e delle spedizioni veloci, elementi essenziali per l’e-commerce, è diventata più complessa e costosa. L’innovazione digitale diventa quindi fondamentale. Piattaforme logistiche avanzate, una gestione efficiente delle scorte e una chiara comunicazione con il cliente finale sono strategie indispensabili per mantenere la competitività.

La sfida per il manifatturiero italiano è trasformare un ostacolo burocratico in un’occasione per innovare. L’adozione di modelli di business più flessibili e l’investimento in competenze digitali sono necessari per navigare il nuovo panorama commerciale. L’eccellenza del Made in Italy, basata su un “saper fare” unico, deve oggi dialogare con la tecnologia per superare le barriere fisiche e normative imposte dalla Brexit. La capacità di raccontare una storia di qualità e, allo stesso tempo, di garantire efficienza e trasparenza è la formula vincente.

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Vantaggi e svantaggi per consumatori e imprese

La Brexit ha generato un quadro complesso di costi e benefici. Per le imprese italiane, lo svantaggio principale risiede nell’aumento della burocrazia e dei costi logistici. Le procedure per l’esportazione richiedono ora più tempo e risorse, con il rischio di sanzioni in caso di errori. La necessità di conformarsi a due sistemi normativi distinti (UE e UK) aggiunge ulteriore complessità. Tuttavia, l’accordo a zero dazi ha rappresentato un vantaggio cruciale, evitando una stangata che avrebbe gravemente penalizzato le esportazioni. Inoltre, la situazione ha spinto molte aziende a innovare e a rendere più efficienti le proprie catene di approvvigionamento.

Per i consumatori, sia italiani che britannici, le conseguenze sono state per lo più negative. Uno studio ha calcolato che la Brexit ha aggiunto circa 210 sterline alla spesa alimentare media delle famiglie nel Regno Unito tra il 2020 e il 2021. L’aumento dei costi di importazione, dovuto alle barriere non tariffarie, è stato scaricato in gran parte sui consumatori finali. Anche per chi acquista online dal Regno Unito, la situazione è cambiata: gli acquisti sono ora considerati importazioni extra-UE e sono soggetti a IVA e a potenziali dazi doganali. Sebbene non ci siano stati vantaggi diretti tangibili, la situazione ha forse aumentato la consapevolezza sull’importanza delle filiere corte e dei prodotti locali.

Conclusioni

A diversi anni dall’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, il bilancio della Brexit è un mosaico di luci e ombre. L’accordo commerciale ha scongiurato l’applicazione di dazi pesanti, ma ha introdotto una serie di barriere non tariffarie che hanno complicato gli scambi e aumentato i costi per imprese e consumatori. L’Italia, con il suo forte legame commerciale con il mercato britannico, ha dimostrato una notevole capacità di adattamento, soprattutto nel settore agroalimentare, dove la forza del Made in Italy ha prevalso sulle difficoltà burocratiche.

La vera sfida per il futuro risiede nella capacità di coniugare la tradizione, che rende unici i prodotti italiani, con l’innovazione necessaria per competere in un mercato globale sempre più complesso. Le imprese che investono in digitalizzazione, logistica avanzata e conoscenza delle normative internazionali saranno quelle meglio posizionate per trasformare le sfide della Brexit in opportunità di crescita. Per i consumatori, la nuova realtà doganale richiede maggiore attenzione negli acquisti transfrontalieri, ma rafforza anche il valore della trasparenza e della qualità, elementi distintivi della cultura mediterranea e del Made in Italy. La gestione delle nuove dinamiche commerciali, inclusa la comprensione di strumenti come il codice HS per la classificazione dei prodotti, sarà fondamentale per il successo futuro.

Domande frequenti

disegno di un ragazzo seduto a gambe incrociate che regge un laptop con scritto dietro allo schermo Conclusioni

Quali sono le principali conseguenze della Brexit per chi esporta dall’Italia al Regno Unito?

Dal 1° gennaio 2021, le esportazioni verso il Regno Unito sono considerate operazioni doganali. Sebbene l’accordo commerciale UE-UK abbia eliminato dazi e quote su molte merci, le aziende italiane devono affrontare nuove barriere non tariffarie. Queste includono la necessità di presentare dichiarazioni doganali, ottenere un codice EORI, rispettare le complesse “regole di origine” per beneficiare dell’esenzione dai dazi e conformarsi a normative specifiche del Regno Unito, come controlli sanitari e fitosanitari e nuove etichettature (es. marchio UKCA). Ciò ha comportato un aumento dei costi amministrativi e logistici e possibili ritardi nelle consegne.

I prodotti italiani costano di più nel Regno Unito dopo la Brexit?

Sì, in molti casi i costi sono aumentati. Anche se l’accordo commerciale ha evitato l’applicazione di tariffe doganali dirette, le nuove barriere burocratiche e i controlli alle frontiere hanno generato costi aggiuntivi per gli esportatori, che spesso vengono trasferiti sui consumatori finali. Uno studio ha rilevato che la Brexit ha causato un aumento generale dei prezzi dei prodotti alimentari nel Regno Unito di circa il 6% nei primi due anni, a causa delle barriere non tariffarie. Settori come l’agroalimentare hanno visto un incremento dei costi legato alle certificazioni sanitarie e alla logistica più complessa.

Cosa sono le “regole di origine” e perché sono importanti?

Le “regole di origine” sono un criterio fondamentale dell’accordo commerciale UE-UK per determinare se un prodotto può essere scambiato senza dazi. Per essere considerato “originario” dell’UE o del Regno Unito, un bene deve essere stato interamente ottenuto o sufficientemente lavorato o trasformato in una delle due aree. Se un prodotto italiano, ad esempio, contiene troppi componenti provenienti da paesi terzi (es. Cina o USA), potrebbe non qualificarsi per il trattamento tariffario preferenziale e essere soggetto a dazi all’ingresso nel Regno Unito. Le aziende devono quindi essere in grado di documentare e certificare l’origine dei loro prodotti.

Come ha reagito il settore agroalimentare italiano alla Brexit?

Il settore agroalimentare italiano ha mostrato una notevole resilienza. Nonostante le difficoltà burocratiche, l’export verso il Regno Unito è cresciuto, specialmente per i prodotti DOP e IGP. Il valore percepito del Made in Italy, sinonimo di qualità, tradizione e sicurezza, ha giocato un ruolo chiave. Tuttavia, le aziende hanno dovuto affrontare costi aggiuntivi per le certificazioni sanitarie e fitosanitarie e per la logistica. Il successo si basa sulla forza del brand Italia e sulla capacità delle imprese di adattarsi alle nuove normative, investendo in tracciabilità e innovazione per superare gli ostacoli doganali.

Cosa è cambiato per chi fa acquisti online da siti del Regno Unito?

Per i consumatori nell’UE, gli acquisti online da siti britannici non sono più transazioni intracomunitarie. Ora sono considerati importazioni da un paese terzo. Questo significa che al momento della consegna, oltre al prezzo del prodotto e alle spese di spedizione, possono essere applicati costi aggiuntivi come l’IVA all’importazione (generalmente addebitata dal corriere) e, per i beni con un valore superiore a una certa soglia, anche dazi doganali. Ciò rende gli acquisti potenzialmente più costosi e può causare ritardi dovuti alle procedure di sdoganamento.

Domande frequenti

disegno di un ragazzo seduto con nuvolette di testo con dentro la parola FAQ
Perché i prodotti italiani costano di più nel Regno Unito dopo la Brexit?

Dopo la Brexit, i prodotti italiani nel Regno Unito sono diventati più costosi a causa dell’introduzione di nuove barriere non tariffarie. Sebbene l’accordo commerciale tra UE e UK (TCA) abbia eliminato i dazi su molti prodotti che rispettano le regole di origine, sono aumentati i costi legati alla burocrazia, ai controlli doganali e alle nuove procedure sanitarie e fitosanitarie. Le aziende italiane devono ora sostenere spese per le dichiarazioni doganali, l’assistenza di spedizionieri e l’ottenimento di certificati specifici, costi che inevitabilmente si riflettono sul prezzo finale per il consumatore britannico.

Quali sono i settori italiani più colpiti dalla Brexit?

I settori italiani che hanno risentito maggiormente della Brexit sono quelli legati all’export di eccellenze del ‘Made in Italy’. In primo luogo, il settore agroalimentare, che rappresenta la principale voce delle nostre esportazioni verso il Regno Unito, ha dovuto affrontare nuove complessità burocratiche e controlli sanitari. Settori come quello del vino, dei formaggi DOP, dei salumi e dell’ortofrutta hanno subito impatti significativi. Anche altri comparti chiave come la moda, l’abbigliamento e gli autoveicoli hanno dovuto adeguarsi a nuove regole e potenziali costi tariffari, che ne riducono la competitività sul mercato britannico.

Comprare online dal Regno Unito è diventato più complicato per un privato in Italia?

Sì, acquistare online da siti britannici è diventato più complesso e costoso. Dal 1° gennaio 2021, le spedizioni dal Regno Unito verso l’Italia sono considerate importazioni da un paese extra-UE. Questo significa che, al loro arrivo in Italia, i beni sono soggetti a oneri doganali, che includono l’IVA all’importazione e potenziali dazi, a seconda del valore e della natura della merce. Di conseguenza, il prezzo finale per l’acquirente italiano è spesso più alto del previsto e i tempi di consegna possono allungarsi a causa delle procedure di sdoganamento.

Cosa sono le ‘regole di origine’ e perché sono importanti dopo la Brexit?

Le ‘regole di origine’ sono un insieme di criteri stabiliti dall’accordo commerciale UE-UK (TCA) per determinare la nazionalità di un prodotto. Sono fondamentali perché solo le merci che vengono considerate ‘originarie’ dell’UE o del Regno Unito possono beneficiare dell’esenzione da dazi e quote doganali. Per un’azienda italiana, dimostrare che il proprio prodotto è ‘made in Italy’ (o ‘made in EU’) attraverso una dichiarazione di origine è essenziale per poter esportare nel Regno Unito senza che il cliente finale debba pagare tariffe aggiuntive, mantenendo così la competitività del prodotto.

Quali sono i nuovi obblighi burocratici per un’azienda italiana che esporta in UK?

Un’azienda italiana che esporta nel Regno Unito deve ora adempiere a una serie di obblighi burocratici prima inesistenti. È necessario possedere un codice EORI (Economic Operator Registration and Identification) per interagire con le dogane. Ogni spedizione deve essere accompagnata da una fattura commerciale e da una dichiarazione doganale di esportazione. A seconda del tipo di merce, specialmente per i prodotti agroalimentari, sono richiesti certificati sanitari o fitosanitari. Inoltre, per evitare l’applicazione di dazi, è cruciale fornire una dichiarazione che attesti l’origine preferenziale della merce.