Guadagnare giocando online è diventato molto più di un semplice passatempo. Per un numero crescente di persone, rappresenta una fonte di reddito concreta, che spazia da piccoli arrotondamenti a veri e propri stipendi. Questo fenomeno, che unisce passione e profitto, solleva però una domanda fondamentale: quando questa attività smette di essere un hobby e diventa un lavoro a tutti gli effetti? La risposta non è banale e ha importanti implicazioni legali e fiscali, specialmente in un contesto come quello italiano, dove la cultura del lavoro è profondamente radicata in modelli tradizionali.
Comprendere la linea di demarcazione è cruciale per chiunque monetizzi la propria abilità nei videogiochi, che si tratti di un giocatore di eSport, uno streamer su piattaforme come Twitch o un appassionato di app Play-to-Earn. Ignorare le normative può portare a sanzioni e contenziosi con il Fisco. Questo articolo si propone di fare chiarezza sugli aspetti normativi in Italia, analizzando i criteri che definiscono un’attività come professionale e gli obblighi che ne derivano, in un mercato europeo sempre più interconnesso e digitale.
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Il confine sottile tra hobby e lavoro
Per la legge italiana, la distinzione tra un hobby e un’attività lavorativa non dipende da quanto si guadagna, ma da come si guadagna. Un hobby è un’attività svolta per diletto, in modo sporadico e non organizzato. I guadagni, se presenti, sono considerati occasionali. Un’attività diventa invece lavorativa quando assume i caratteri della continuità, della professionalità e dell’organizzazione di mezzi. Questo significa che se ti dedichi al gioco in modo sistematico, con l’obiettivo primario di generare un reddito e utilizzando strumenti specifici (un PC performante, una connessione stabile, software di streaming), la tua attività è considerata professionale agli occhi del Fisco.
L’analogia più semplice è quella di chi ama cucinare. Preparare una torta per il compleanno di un amico è un hobby. Se, però, si iniziano a prendere ordinazioni regolarmente, a pubblicizzare i propri dolci sui social e ad acquistare attrezzature professionali, l’attività si trasforma in un lavoro vero e proprio. Lo stesso principio si applica al gaming: giocare per divertimento è un passatempo; farlo con regolarità per monetizzare tramite tornei, streaming o altre forme di ricavo è un’attività professionale.
Quando scatta l’obbligo fiscale in Italia
Una volta superato il confine dell’hobby, si entra nel campo degli obblighi fiscali. La normativa italiana prevede principalmente due inquadramenti per chi genera reddito da attività non dipendente: la prestazione occasionale e la Partita IVA.
La prestazione occasionale
Se i tuoi guadagni sono sporadici e non derivano da un’attività continuativa, puoi avvalerti della prestazione occasionale. Questo regime è applicabile per compensi che non superano i 5.000 euro annui lordi. In questo caso, dovrai rilasciare una ricevuta al committente (ad esempio, l’organizzatore di un torneo) applicando una ritenuta d’acconto del 20%, che verrà versata da quest’ultimo come anticipo sulle tue tasse. È importante sottolineare che il limite di 5.000 euro non è una “franchigia” sotto la quale non si dichiara nulla: è il tetto massimo per questo specifico regime. Superata questa soglia, scattano obblighi contributivi verso la Gestione Separata INPS.
L’apertura della Partita IVA
L’obbligo di aprire una Partita IVA non è legato al superamento di una soglia di reddito, ma al carattere abituale e continuativo dell’attività. Se giochi e guadagni con regolarità, anche se i tuoi ricavi sono inizialmente bassi, sei tenuto ad aprire una Partita IVA. Questo passaggio è fondamentale e spesso frainteso. Ad esempio, uno streamer che trasmette su Twitch ogni settimana sta svolgendo un’attività continuativa e deve avere una Partita IVA, a prescindere da quanto guadagni dalle donazioni o dalle iscrizioni. L’apertura della Partita IVA consente di inquadrare fiscalmente i proventi, scegliere un regime fiscale (come il vantaggioso Regime Forfettario per i principianti) e versare correttamente tasse e contributi.
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Play-to-Earn, eSport e Streaming: tre scenari a confronto
Il mondo del “guadagnare giocando” è variegato e ogni scenario presenta specifiche implicazioni fiscali. È utile analizzare le tre tipologie più comuni.
Guadagni da App e Play-to-Earn (P2E)
Le app che promettono ricompense per giocare rientrano spesso in un’area grigia. Se i guadagni derivanti da app sono minimi e sporadici, possono essere considerati redditi diversi occasionali. Tuttavia, il discorso si complica con i giochi Play-to-Earn (P2E) che utilizzano criptovalute e NFT. In Italia, le plusvalenze generate dalla cessione di cripto-attività sono soggette a tassazione. Questi redditi, se percepiti da un’attività continuativa, devono essere gestiti all’interno di una Partita IVA. Per chi si avvicina a questo mondo, è fondamentale capire come guadagnare criptovalute giocando in modo conforme alle normative vigenti, che sono in continua evoluzione.
Il mondo degli eSport
I giocatori professionisti di eSport (electronic sports) percepiscono guadagni da diverse fonti: premi dei tornei, stipendi dai team di appartenenza e sponsorizzazioni. I premi vinti in tornei possono essere inquadrati come “redditi diversi” derivanti da prove di abilità, come specificato nell’articolo 67 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi). Tuttavia, quando un giocatore diventa un professionista a tempo pieno, con contratti e sponsor, l’attività diventa a tutti gli effetti un lavoro autonomo che richiede l’apertura di una Partita IVA. Il mercato degli eSport in Italia è in forte crescita, con un pubblico di 7,3 milioni di spettatori, e l’inquadramento fiscale corretto è essenziale per la sostenibilità della carriera di un pro-player.
Monetizzare con lo Streaming
Lo streaming su piattaforme come Twitch e YouTube è forse l’esempio più chiaro di attività lavorativa. Uno streamer che trasmette regolarmente, costruisce una community e ottiene ricavi da abbonamenti, donazioni, pubblicità e sponsorizzazioni, sta svolgendo un’attività continuativa e organizzata. Pertanto, è obbligato ad aprire una Partita IVA fin dall’inizio. La mancanza di una regolamentazione specifica per queste nuove professioni digitali non esonera dagli obblighi fiscali generali. È anche importante prestare attenzione ai rischi, imparando a riconoscere le app truffa che promettono guadagni facili ma nascondono insidie.
Tradizione e Innovazione: la cultura mediterranea alla prova
In un paese come l’Italia, la percezione del “lavoro” è spesso legata a concetti tradizionali: un ufficio, un orario fisso, un datore di lavoro. Le nuove professioni digitali, come quella del gamer o dello streamer, scardinano questi paradigmi, generando a volte scetticismo. Questa visione culturale si scontra con una realtà economica innegabile: il mercato globale dei videogiochi è un’industria miliardaria e le professioni ad esso collegate sono sempre più legittimate.
La sfida per la cultura mediterranea è quella di integrare queste nuove forme di lavoro, riconoscendone il valore economico e professionale. Per le nuove generazioni, guadagnare giocando non è un’idea bizzarra, ma un’opportunità di carriera concreta, che unisce passione, competenza tecnologica e spirito imprenditoriale. La legge, pur con i suoi tempi, si sta adattando. L’importante è che chi intraprende queste strade lo faccia con consapevolezza, comprendendo che l’innovazione delle professioni non implica l’assenza di regole, ma la necessità di applicare quelle esistenti a contesti nuovi.
Conclusioni

In definitiva, guadagnare giocando può essere un hobby o un lavoro a seconda delle modalità con cui l’attività viene svolta. La linea di demarcazione è tracciata dalla continuità e dalla professionalità, non dall’ammontare dei guadagni. Se l’attività è abituale e organizzata, l’apertura della Partita IVA diventa un passo obbligato per operare nella legalità e costruire una carriera sostenibile.
Il panorama normativo italiano, sebbene non sempre specifico per il settore del gaming, fornisce gli strumenti per un corretto inquadramento fiscale. Ignorare questi aspetti può trasformare un’opportunità in un rischio. Per chi desidera trasformare la propria passione per i videogiochi in una professione, è fondamentale informarsi e, se necessario, affidarsi a un consulente fiscale per navigare la complessità delle normative e concentrarsi su ciò che sa fare meglio: giocare e massimizzare i profitti.
I tuoi guadagni dal gaming sono in crescita e non sai come gestirli a livello fiscale? Non rischiare di commettere errori. Scopri come inquadrare la tua attività e metterti in regola per trasformare la tua passione in una professione sicura e senza preoccupazioni.
Domande frequenti

Guadagnare giocando diventa un lavoro quando l’attività è svolta in modo continuativo, abituale e organizzato. Non esiste una soglia di guadagno fissa, come i 5.000 euro, che determina automaticamente il passaggio da hobby a lavoro. I criteri principali sono la regolarità e la professionalità con cui si svolge l’attività, ad esempio partecipando a tornei in modo sistematico, avendo collaborazioni stabili con team o percependo guadagni regolari da streaming e sponsor.
Sì, i guadagni derivanti dai giochi online vanno dichiarati. Le modalità cambiano a seconda della provenienza della vincita. Se si gioca su piattaforme autorizzate in Italia (con licenza ADM), le tasse sono già trattenute alla fonte dall’operatore, che agisce come sostituto d’imposta, e non devi inserirle in dichiarazione. Se invece i guadagni provengono da piattaforme estere non autorizzate, devono essere inseriti nella dichiarazione dei redditi come ‘redditi diversi’ (Quadro RL del Modello Redditi) e tassati secondo gli scaglioni IRPEF.
L’obbligo di aprire la Partita IVA scatta quando l’attività di gaming diventa abituale e continuativa, superando la natura di hobby occasionale. Questo è il caso di pro-gamer che partecipano regolarmente a tornei, streamer che monetizzano costantemente i loro canali o chi ha contratti di sponsorizzazione. Le singole vincite a tornei, se occasionali, possono essere gestite come ‘redditi diversi’, ma un’attività strutturata richiede l’apertura della Partita IVA.
Non dichiarare i guadagni, specialmente quelli provenienti da piattaforme estere non autorizzate, comporta rischi significativi. L’Agenzia delle Entrate può effettuare accertamenti bancari e contestare l’omessa dichiarazione. Le sanzioni amministrative possono variare dal 90% al 180% delle imposte evase, a cui si aggiungono gli interessi di mora. Nei casi più gravi, se si superano determinate soglie di evasione, si può incorrere anche in conseguenze penali.
Le vincite occasionali da tornei di eSport sono considerate ‘premi derivanti da prove di abilità’ e rientrano nella categoria dei ‘redditi diversi’ ai sensi dell’art. 67 del TUIR. Vanno quindi dichiarate nel Modello Redditi (rigo RL15) e sono soggette a tassazione IRPEF sull’importo lordo della vincita. Se l’attività di partecipazione ai tornei diventa professionale e abituale, i guadagni concorrono a formare il reddito di lavoro autonomo e richiedono l’apertura di una Partita IVA.